Anna Capolupo ci porta nelle dimensioni parallele del suo lavoro.
Ogni storia di design segue un percorso, oppure un filo conduttore. Nel nostro caso, parlando dei lavori di Anna Capolupo, il filo è evidente, ed è un soul effort che prende vita. Entrate con noi in un mondo magico e sospeso, fatto di imprevedibili sfumature, intimità quotidiane e dolci contraddizioni. Da qui potete anche viaggiare nei contrasti paralleli al mondo di cui sopra, state pronti a sentire il non visto, e percepire il non detto. Potremmo continuare, ma preferiamo lasciare parlare i segni, dato che siamo felici di presentarvi una nuova collaborazione ed un nuovo capitolo delle Wood’d own Design Stories. Ladies and gents, diamo il benvenuto ad Anna Capolupo e la sua arte.
Ciao Anna, raccontaci un pò di te. Chi sei, di dove sei, cosa fai?
Sono Anna Capolupo, nata e cresciuta in un piccolo paesino arbreshe dell’entroterra calabrese, ho 33 anni e da 13 anni vivo in Toscana, con delle pause nel mezzo, fra un periodo trascorso a Berlino ed altri in giro per l’Italia. Sono una pittrice. Penso di aver iniziato da bambina, i primi tentavi appartengono a quel periodo, ho ricordi di me bambina che disegnavo disegnavo…ma ho fatto un percorso artistico, liceo prima e accademia dopo, non ricordo un inizio in particolare. Sicuramente durante gli anni dell’accademia a Firenze ci sono stati incontri fondamentali per la mia crescita, come artista e come persona, ho incontrato della bella pittura e ho acquisito più coscienza di cosa fosse fare arte, delle possibilità, e di cosa potesse essere intraprendere una strada del genere, nel bene e nel male.
E come descriveresti la tua arte?
Ho sempre pensato alla mia “arte” come una compagna di viaggio, mi ha sempre accompagnato ovunque, mi serve per indagare il mio quotidiano, i posti che attraverso, il mio passato il mio futuro, è un rendere visibile quelli che sono spazi mentali, percezioni del vissuto. Ho indagato molto l’architettura urbana delle grandi città e delle periferie. Allo stesso modo, ho indagato i volti e le personalità di persone a me vicine, di situazioni vissute, e poi, solo negli ultimi anni, le mie origini, quelle della tradizione. Quello che faccio, l’arte, mi permette di essere libera. Il mio lavoro è una stratificazione su carta di avvenimenti.
Siamo curiosi, come è fatta la giornata tipo di Anna Capolupo?
Una mia giornata tipo, se esiste, quando esiste, è una giornata passata in studio. Sono per carattere e per vocazione una di quelle che si chiude in studio, in solitudine, con il mio cane. Svegliarsi, prendere un caffè e dipingere, scegliere il materiale su cui lavorare e fare prove. Giornate a riguardare foto di posti dove sono stata, e di cui vorrei farci qualcosa, o sui libri a studiare, a cercare soggetti, a capire cosa voglio dire e come lo voglio dire…darsi un tema, si dice così…
Ci descrivi il tuo spazio di lavoro?
Il mio spazio mi somiglia, mentre lavoro è apparentemente (e forse non solo) un gran caos con un ordine che riconosco solo io, che memorizzo ogni piccolissimo oggetto, matita o gessetto abbandonato da qualche parte, e so perfettamente dov’è…alla fine pulisco e metto in ordine, così posso ricominciare da capo, carte dappertutto, scarti di matite temperate ovunque, è il mio microclima in una stanza di cinque metri per cinque. Lavoro principalmente solo su carta, quindi utilizzo colori acrilici o tempere, chine e pigmenti, tutto a base d’acqua. Prediligo la tecnica mista, spray, matite, pastelli, pennarelli, e il cucito, cotone, lana e materiale sintetico.
Da cosa prendi ispirazione per il tuo lavoro?
Come ti dicevo, le mie fonti d’ispirazione sono legate al soggetto scelto. In questo momento, per esempio, sto scavando a ritroso nel mio passato trovando ispirazione nell’arte del cucito, un’arte antica, la fiber art, e questo mi crea suggestioni che poi mi aiutano anche nella pittura, che mi fanno vedere altro. Mi si ripropongono scene dell’infanzia da riordinare, e con la pittura ho la possibilità di astrarre. Scruto il paesaggio naturalistico oggi, più che quello urbano, che ancora mi affascina, ma il cambiamento e la continua ricerca sono importanti. Ciò che voglio ottenere forse è arrivare al superamento del soggetto, a qualcosa che sia priva di forma.
Cosa hai pensato per Wood’d?
Per Wood’d ho pensato ad un lavoro di piccole dimensioni, un qualcosa in cui il disegno e la pittura si uniscono all’intervento del cucito. Anzi, c’è un dialogo fra le due tecniche, e fra quello che viene rappresentato, ci sono scene e situazioni vissute, personaggi, volti, e un cucito che tenta di far risaltare ciò che non è visto, ciò che non si vede dell’anima dei soggetti, che siano persone o paesaggi, come giardini interiori, a volte sottolinenado le peculiarità della persona ritratta, per esempio. Sono lavori molto intimi, riguardano da vicino il mio vissuto e rappresentano meglio la strada intrapresa fra questo gioco di parti, tra il segno del disegno e quello lasciato dal filo.