DJ Danko, alla ricerca del beat perfetto.
Cloud Danko, o DJ Danko, è un nome noto nel panorama nazionale della musica black, per diversi motivi. In primis, per la ricercatezza del suo sound, frutto dell’incessante pratica del digging in the crates di cui il nostro è adepto. Date un occhio ai suoi social media e capirete. In secondo luogo, per l’abilità ed il gusto nel creare vere e proprie soundscapes, atmosfere uniche che rendono l’ascolto dei suoi set un vero e proprio viaggio nel sound, al di là di epoche e generi. Collaboratore del jazzista Nicola Conte, giusto per dirne un’altra, abile nel mantenere il profilo basso ed il volume alto, ladies and gents, è con noi per una Wood’d Vibes molto speciale il nostro amico Cloud Danko!
Ciao Cloud: in poche parole, chi sei? Vuoi presentarti ai nostri amici?
Il mio nome è Claudio, in arte Cloud Danko, ho 34 anni e vivo a Bari, una città del sud Italia. Sono dj e collezionista di vinili funk, Hip Hop, Soul, Jazz, Afrobeat e di musica nera in generale.
Come hai cominciato ad interessarti di musica? Sappiamo da fonti certe che sei anche un grande collezionista di vinili…
Nella mia famiglia nessuno è appassionato in particolar modo alla musica, quindi nessuno mi ha trasmesso questo amore. E’ nato in maniera naturale sin da quando ero un bambino tant’è che mia madre acquistò un piccolo mangiadischi “Penny”, che ancora conservo gelosamente, per darmi la possibilità di ascoltare i 45 giri dei cartoni animati che tanto adoravo. All’età di 13 anni, invece, ho avuto il primo impatto con la cultura Hip Hop, e sino ad oggi non ho mai smesso. Rimasi subito affascinato dalla disciplina del djing e proprio per questo i miei genitori decisero di acquistarmi un paio di giradischi a cinghia ed un mixer terribile, invece del classico motorino che tutti i miei amici avevano. Probabilmente li faceva stare più tranquilli sapermi a casa ad allenarmi a fare il dj. Li ringrazierò a vita per questo.
Lo scratch è stata una motivazione per anni, e devo dire che con il tempo sono arrivato anche ad un discreto livello, grazie al quale ho conosciuto quella che sarebbe stata una delle persone più importanti, in primis per amicizia, e poi anche per il mio arricchimento di cultura musicale: Mirko Dj Argento. E’ stato lui ad iniziarmi all’ascolto del funk e del soul, oltre al rap che già ascoltavo, e mi ha dato le prime dritte da “collezionista”. Abbiamo passato giornate intere ad allenarci a fare scratch e a girare per i negozietti di dischi della mia città e non solo. Quindi è anche colpa sua se oggi sono un fissato di stampe originali. Lasciami dire che la questione “stampe originali” è un’arma a doppio taglio perché se da un lato rende prestigiosa la tua libreria musicale, dall’altro sai già che certi dischi non potrai mai permetterteli. E’ per questo che negli ultimi anni, specie dopo aver visto dal vivo le collezioni di svariati drogati di vinile, posso dirti che il collezionista perfetto non esiste. A meno che non abbia un patrimonio di centinaia di migliaia di euro da poter spendere. Detto ciò sin quando i prezzi restano in certi limiti cerco sempre di accaparrarmi la copia originale, ma per alcuni casi impossibili mi accontento anche di qualche ristampa.
La tua città natale, Bari, è ancora una piazza fondamentale per il Jazz e la musica nera. Come descriveresti il tuo rapporto con la città?
Specie negli anni 90, Bari è stata una delle capitali della musica nera in Italia. Ispirata al movimento londinese di quel periodo, in cui l’acid jazz era esploso anche grazie a personaggi come Gilles Peterson ed Eddie Piller, la mia città ha sviluppato un gran numero di musicisti, djs ed appassionati di black music. Tutto quel movimento si racchiudeva in tre semplici lettere: il FEZ di Nicola Conte, che era supportato a sua volta anche da altri appassionati alcuni dei quali attivi ancora oggi.
Lo sviluppo avuto negli anni 90, però, si è un po’ spento verso l’inizio del nuovo millennio e molti appassionati “temporali”, o semplici modaioli dell’epoca hanno dato via i dischi che tanto erano fighi 10 anni prima. Fortunatamente io, Mirko Dj Argento ed altri amici abbiamo usufruito di questa ondata di ottimi album, trovati per i vari mercatini delle pulci a pochi spiccioli, per incrementare i nostri archivi vinilici.
Durante gli anni successivi in città potevi trovare alcune situazioni interessanti dove ascoltare buona musica, ma sempre indirizzate verso una ristretta nicchia, sino a quando nell’anno 2009 insieme ad altri amici come Vito Santamato e Vincenzo Altini abbiamo creato una crew dal nome “Black Vibrations”, ed abbiamo iniziato a far ri-suonare Funk, Soul, Jazz e Rap in molti locali baresi anche grazie all’associazione BUG (Black Urban Grooves), di cui siamo promotori, e nella quale abbiamo potuto ospitare artisti come Grandmaster Flash, Ronny Jordan, Afrika Bambaataa, Snowboy e tanti altri, riaccendendo quel focolaio che si era spento agli inizi del 2000.
Questo ha dato modo a ragazzi della nuova generazione, ma soprattutto a molti djs della vecchia guardia di riattivarsi e riprendere a proporre musica in città. A Bari, oggi, puoi trovare diverse situazioni interessanti nei locali. Da qualche anno è nata anche una nuova etichetta jazz: la A.MA Records di Antonio Martino, uno dei pilastri del FEZ, che sta sfornando ottimi lavori che invito tutti ad ascoltare.
Alla fine dei giochi ti posso dire che Bari, ma in generale la Puglia, oggi, rimane sempre una delle migliori regioni d’Italia in fatto di black sound, senza dimenticare il grosso lavoro che stanno facendo i vari festival estivi, che in particolar modo nell’ultimo decennio hanno ospitato artisti stratosferici. Invito tutti a passare le vacanze dalle nostre parti perché, oltre a paesaggi mozzafiato e location bellissime, sicuramente avrete la possibilità di ascoltare buona musica.
Sei anche un collaboratore costante della legenda jazz Nicola Conte, artista del Blue Note. Come è nata la scintilla tra voi due?
Sono molto contento, in primis, dell’amicizia nata con Nicola Conte, e sono onorato della stima artistica che ha nei miei confronti. Tutto è partito qualche anno fa da Nicola, che probabilmente ha visto in me non il solito appassionato di musica, ma un qualcuno che tentava di arrivare in fondo nella ricerca del suono giusto, quello che viene dall’anima, e che in pochi conoscono. Il nostro progetto si chiama “Love Flower”, e già dal nome si può captare che il concept è di divulgare il messaggio spirituale che proviene dal suono di matrice africana, che si è riversato nel jazz, nel soul e nel funk. Oltre ai vari mix che potete ascoltare su Mixcloud, stiamo iniziando a portare il progetto nei club, cercando di dare una sorta di continuità al progetto FEZ, con una evoluzione.
Parlando di ispirazioni, quale rimane la tua più grande fonte di ricerca?
Questa è sempre una domanda difficile per chi, come me, ogni giorno è alla ricerca di brani nuovi o vecchi, mai sentiti prima o dimenticati. Ti posso dire che negli ultimi anni i miei ascolti si sono concentrati verso lo Spiritual Jazz e l’Afrobeat ma anche verso molta World music con influenze funk e soul. Artisti come Pharoah Sanders, John e Alice Coltrane, Joe Henderson, Sun Ra, Tony Allen, Fela Kuti e tanti tanti altri musicisti da tutto il mondo. Una delle ultime perle entrate nella mia collezione è un 45 giri della cantante indonesiana Irni Yusnita che contiene una versione killer di Papa Was A Rolling Stone dei Temptations, cantanta in indonesiano, praticamente introvabile. In internet non ce n’è traccia. Molto importante, poi, è stato l’incontro con la mia compagna Daniela, anche lei golosa di musica, che mi ha aperto all’ascolto di sonorità più moderne che già conoscevo, ma alle quali probabilmente non davo il giusto peso, essendo concentrato sui mostri sacri citati prima. Parlo di artisti attuali come Thundercat, MNDSGN, Anderson.Paak, e via così.
Cosa stai ascoltando ultimamente?
Proprio in questo momento, sotto la puntina, ho il primo lavoro dei Ruby Rushton, Two For Joy. Si tratta di un album registrato nel 2011, ma pubblicato nel 2015. Sono un quartetto inglese formato da Tenderlonious (Ed Cawthorne) al sassofono (nonché titolare dell’etichetta per cui è uscito il disco: la 22a), Nick Walters alla tromba, Aiden Shepherd alle tastiere e Yussef Dayes (dell’ormai defunto progetto Yussef Kamaal) alla batteria. E’ un’ottima fusion tra jazz, hip hop ed elettronica.
Ok ok, ultima domanda: che cosa hai preparato per Wood’d?
L’ispirazione al mix preparato per Wood’d è venuta proprio dagli ascolti di questi ultimi anni, tra nuove sonorità e album d’annata. Periodi diversi, generazioni diverse, tecnologie diverse, ma un unico messaggio. Ho cercato di trovare una connessione tra le due epoche cercando di non mettere una data alla musica che si sta ascoltando, quasi a farla sembrare senza tempo. Un po’ come il legno: in tutte le epoche il legno è stato simbolo di design, dai tempi antichi sino a quelli più moderni, e continua ad essere uno dei materiali più utilizzati e di tendenza. L’importante è trovare la giusta connessione tra passato e presente per proiettarsi nel futuro.