Avete mai sentito parlare di libraries e sonorizzazioni?
Abbiamo pensato di portarvi a fare un giro diverso dal solito, spingendoci nel rare groove più raffinato. Abbiamo pensato di affidare la conduzione della nuova selezione firmata Wood’d Vibes ad una signorina che, in fatto di dischi rari e ben precisi, è una che sa il fatto suo. Abbiamo chiamato Letizia, e ci ha risposto LA Ponto. Siamo finiti a parlare di libraries, inevitabilmente, e ad avere un mix che sa di quel che ci piace, e speriamo piaccia anche a voi. Ciao!
Ciao Letime aka LA aka LA Ponto! Vuoi presentarti brevemente per chi ci legge?
Bella Wood’d e ciao a tutti, la faccio brevissima: sono Ponto, biochimico di giorno, dj di notte, spaccio sound nel tempo libero e divoro musica da quasi 30 anni; i primi 27 li ho vissuti al sud tra la SS106 e Catania mentre da un po’ sono stabile a Firenze tra Rinascimento, dischi e umidità.
Domanda di rito: come è iniziato tutto?
E’ iniziato per caso, o forse è stata la naturale evoluzione del mio approccio alla musica, tra i dischi ci son nata, ma prima di iniziare a comprarli da sola (assiduamente) è trascorso un po’, e ce n’è voluto ancora di più prima che mi ritrovassi a passarli in consolle. I miei genitori raccontano spesso di quanto scalciassi al minimo accenno di ritmo mentre mia madre era incinta di me, loro hanno sempre amato la black music e affini, e mi portavano in giro a veder concerti quando ancora non sapevo stare in piedi. Primo in assoluto Ray Charles, e avevo meno di un anno, poi Umbria Jazz, e via così; papà ha sempre comprato dischi, quindi il vinile è stato il mezzo primo e principale con cui ho imparato ad ascoltare. A me comunque le sue centinaia di Lp non bastavano mai e, oltre a costringerlo a farmi registrare svariate audiocassette, facevo altrettanto dalla radio, o passavo pomeriggi interi a ballare davanti video musicali a rotazione in tv, mentre li imprimevo su un paio di VHS che riciclavo ogni qualvolta si riempissero.
Ad inizi 2000 c’è stato però un momento di “svolta”, da cui è partito un percorso musicale ancora in evoluzione e, spero, inarrestabile ovvero il periodo in cui ho scoperto le libraries (o sonorizzazioni) italiane. Senza concentrarmi troppo sul come, verso i 13 anni mi sono ritrovata in mano le primissime compilation del genere (Easy Tempo, Beat a Cinecittà, Il mondo dei Giovani) e mi si è presentata per la prima volta la musica italiana come mai l’avevo pensata; per me fino a quel momento il sound del bel paese si limitava alle maratone di San Remo davanti la tv con mia nonna, i tormentoni del Festival Bar e qualche pezzo della cara conterranea Bertè. Ritrovare in qualcosa di nostrano un sound che ero abituata a sentire in pezzi d’oltreoceano mi sembrava qualcosa di incredibile, e quindi ho iniziato a cercare informazioni su questi certi signori Umiliani, Piccioni, Trovajoli, senza avere la minima idea di chi fossero e cosa facessero. Mi affidavo alle conoscenze di qualche amico più grande, bazzicavo su forum e blog primordiali, passavo ore su canali regionali sperando nella proiezione di qualche film d’epoca alla ricerca spasmodica di indizi per poi scoprire, oltre 10 anni dopo, che a più di 800km da casa mia, sulla riviera romagnola, si affermava tutta una scena che riviveva e rivalutava quel mondo in cui stavo iniziando ad affacciarmi. Ad oggi, con alcuni dei protagonisti di quel periodo siamo diventati amici, e conservo gelosamente aneddoti e perle musicali che mi hanno regalato e aiutata a gravitare con cognizione di causa in questo universo vastissimo.
Comunque parallelamente alle libraries ci sono sempre stati il funk,il jazz e il blues e a coniugare tutto la mia incontenibile necessità di divulgare le robe che mi capitavano nelle orecchie, con stalking musicale agli amici e qualunque mezzo me lo permettesse. Il digging vero è proprio è arrivato verso i 20 anni,un po’ prima del mio debutto davanti i tecnici, col primo stipendio e i primi mercatini delle pulci giù in Sicilia, dove sfogavo il bisogno di accumulare musica nuova e sconosciuta. Ho iniziato comprando un giradischi schifosissimo, trascorrendo ogni domenica mattina a depauperare i miei risparmi in dischi orribili e rovinati recuperati tra bancarelle e spazzatura. Poi c’è stata anche una parentesi di acquisti compulsivi (blocchi e stock compresi) su internet, ma per fortuna sono guarita, capita che ogni tanto mi tolga qualche sfizio sul web ma sono casi eccezionali. A Firenze ci son bei negozi di dischi, tanti mercatini & affini, e personalmente continuo a preferire lo sporcarmi le mani, anche rischiando di non trovare nulla, al digging virtuale a colpo sicuro. Mi è sempre piaciuto costruire la mia borsa da deejay aiutata dalla coincidenza e dal caso, perché mi aiuta a raccontarmi meglio, ad improvvisare anche, e rende tutto più divertente.
Visto che lo accennavi sopra, cosa puoi dirci delle sonorizzazioni e, in generale del mondo a queste legato? Cosa sono e perché piacciono?
Con “sonorizzazioni”, o “libraries”, all’inglese, ci si riferisce a tutta quella musica inizialmente concepita come sottofondo per film, sigle tv, documentari, trasmissioni radio. In realtà, il termine camuffa capolavori che spaziano dal jazz alla proto-elettronica, tutto materiale molto distante da quello che fra gli anni ’60 e ’70 era ritenuto “commerciale”, e di cui la RAI in Italia faceva incetta. Fenomeno tipicamente europeo, la library music era un po’ l’escamotage di molti musicisti per potersi esprimere liberamente nonostante le esigenze di mercato, così, in aggiunta alla costante richiesta di materiale per la programmazione, nacquero molte etichette indipendenti o sottoetichette di alcune più grosse dedite esclusivamente alla produzione di materiale per sincronizzazioni (da Canopo, Nike, Lupus alle più note Omicron, Cinevox, Cam). Oggi in realtà vengono considerate libraries anche dei dischi che non ne conservano il tipico taglio (pezzi non troppo lunghi, cover con aggiunta di durata e commenti descrittivi i vari brani, versioni alternative dello stesso pezzo), ma che ci rientrano per vie traverse (vedi dischi come Under Pompelmo, Psycheground Group, Jazz now in Italy). Si tratta comunque di pezzi particolarmente difficili da reperire, a volte introvabili, o in condizioni misere e con prezzi fuori portata per noi comuni mortali, abbastanza alti da elevare lo status dei fruitori da semplici amatori a veri e propri collezionisti di rarità. Fortunatamente esistono molte ristampe attuali grazie al lavoro di recupero fatto negli ultimi anni da diverse labels (Four Flies Record, Sonor Music, Schema, Cometa e le storiche Right Tempo e Dejavù) visto sia l’interesse crescente per il genere da parte di un pubblico nuovo, che la necessità di ripristinare lo splendore di alcuni capolavori ancora nel dimenticatoio, o addirittura ancora da scoprire. L’esperienza e la passione di alcuni addetti ai lavori hanno creato infatti una sorta di “movimento archeologico musicale” grazie al quale stanno vedendo luce soprattutto lavori inediti e sconosciuti, un esempio su tutti la colonna sonora di “Sortilegio”, film di cui è stata persa la pellicola ma ritrovato il master della colonna sonora, pensa, che è stata stampata per la primissima volta.
Cosa consiglieresti per chi volesse avvicinarsi al digging in the crates, ovvero l’arte di “scavare” i dischi in giro?
Di farlo sempre con passione e spensieratezza, di concentrarsi più sul contenuto che sul supporto; ho sempre pensato che si debba comprare ciò che piace e non quello che “si deve avere”, il dig inteso come gioco delle figurine non mi ha mai divertita, ed è forse il motivo per cui non mi ritengo propriamente una “collezionista”.
Cosa stai ascoltando adesso in sottofondo?
“C’è un fantasma nel mio letto – M68” da Studio Umiliani, compilation bomba piena di inediti, uscita di recente e fondamentale per gli amanti di Piero Umiliani e del genere!
Ultima domanda di rito: cosa hai preparato per Wood’d Vibes?
L’idea di interpretare in musica il legno, di sonorizzarlo, per così dire, mi ha fatto viaggiare tantissimo, prima di registrare ho trascorso gli ultimi giorni ad ascoltare ore ed ore di musica, e mi sono accorta di avere due percezioni del concetto di legno: da un lato, inteso puramente come elemento naturale. Quindi caldo, ordinato, profumato, con quel senso di conforto che può darti una bella stanza con parquet e travi in legno, magari un po’ minimalista o con un bel camino a fare atmosfera. Dall’altra parte, il “legnoso” nella sua accezione etimologica: secco, fibroso, nodoso, intrecciato, robusto, spigoloso, secolare, pesante. Un qualcosa che in musica assume una connotazione positiva, e descrive gran parte delle sfumature di sound che solitamente mi ammaliano. Ne è nata una selezione di una quarantina di minuti, in puro Ponto style. Per la vostra gioia, al minutaggio (ed alle canzoni) ho anche associato il nome di un particolare legno, che può aiutare e descrive la mia visione meccanica e sensoriale…si, ok…sono ridondante, ed è un mixato concepito col taglio di una sonorizzazione, ma è una deformazione… Spero vi piaccia! ?
1- Palissandro (Giuliano Sorgini- Ultima Caccia)
2- Balsa (Lesiman- Messaggio)
3- Acacia (The Tropicals – African popcorn)
4- Bosso (Luigi Zito – Bossa Astratta)
5- Tek (Dorothy Ashby – Moving Finger)
6- Castagno (The Mohawks – Landscape)
7- Rovere (Groover Holmes – Red onion)
8- Tiglio (Luis Bacalov – Nago)
9- Cedro (The Chackachas – Jungle fever)
10- Mogano ( Jimmy Smith – Get out of my life woman)
11- Platano (Fela Kuti e Ginger Baker – Ye Ye smell)
12- Ebano (Nina Simone – Funkier than a mosquito tweeter)